Di cloni, plagi e vari modi di copiare
di Walter “Plautus” Nuccio
L’anno scorso mi trovavo, come di consueto, a Torino, all’incontro annuale di inventori di giochi, IDEAG. Leggendo l’elenco dei prototipi con relativa descrizione, mi accorsi con grande sorpresa che uno era praticamente identico al mio (almeno in apparenza): stessa tipologia di gioco (tempo reale), ambientazione e idea di base identici, stessa descrizione e perfino il titolo era praticamente uguale! Quando gli autori, due simpatici ragazzi, vennero a salutarmi, bastò una rapida prova ai nostri due giochi per appurare che erano, in realtà, notevolmente diversi. Ma cosa sarebbe successo se si fosse trattato di giochi già editi? Quante persone avrebbero gridato al plagio, magari prima ancora di averli provati?
Naturalmente nel nostro piccolo grande mondo non mancano affatto i casi di veri e propri “cloni”. La tecnica è sempre quella: si prende un sistema di gioco che si sa essere ben funzionante, e che ha già dimostrato di godere di un buon riscontro di pubblico, e se proprio occorre si cambia qualcosa, generalmente l’ambientazione (vedi il clamoroso caso di Bang!), subito seguita da grafica e illustrazioni inedite, dato che queste sono le uniche cose davvero tutelabili da un punto di vista legale. Non ci sono dubbi che un’operazione di questo tipo sia poco etica e professionale. E’importante però fare una distinzione: copiare un gioco di sana pianta non ha nulla a che vedere con il riutilizzare singole meccaniche per comporre un mix del tutto nuovo.
I giocatori tendono ad essere piuttosto fantasiosi e spesso vedono somiglianze anche quando il paragone è un po’ azzardato. Splendor e Century sono due titoli che, pur condividendo una stessa struttura di base (una mossa ciascuno ad ogni turno, con una corsa a raggiungere un punteggio prefissato), pongono il giocatore di fronte a scelte molto differenti. Comunque non è affatto raro che due giochi condividano realmente una delle meccaniche principali. Il piazzamento lavoratori è stato riciclato in tutte le salse: dopo Caylus sono seguiti I Pilastri della Terra e Stone Age, per citarne giusto un paio, anche se i titoli seguenti hanno provato ad introdurre una differenza, un “twist”, come si dice nel gergo del game design. E a volte non c’è bisogno neppure di quello, perché una mescolanza di meccaniche note può già essere sufficiente a creare un risultato complessivo di per sé inedito. Il caso più recente è quello di Clans of Caledonia, che per esplicita ammissione dell’autore è ottenuto dalla composizione di meccaniche prese dai suoi giochi preferiti, che sono state tuttavia rivedute e corrette, ovvero riadattate secondo i gusti dell’autore. Tra gli esperti ci sono pareri discordanti su quanto sia effettivamente innovativo il gioco che ne è venuto fuori, ma certo è che non si può parlare affatto di plagio in questo caso.
É chiaro, quindi, che un’eventuale somiglianza tra due giochi non va cercata nel tema, e a volte nemmeno nelle meccaniche, bensì nelle dinamiche che sorgono durante la partita: il tipo di considerazioni che il giocatore deve fare per scegliere la sua mossa, la natura delle strategie perseguibili, i dilemmi e le sfide che gli si presentano. Il semplice atto di prendere una pedina-lavoratore e usarla per selezionare un’azione su un tabellone può dar luogo a una moltitudine di giochi diversi. E per lo stesso motivo un gioco in cui l’azione è associata ad una tessera personaggio e in cui si imbarcano merci per fare punti non è necessariamente una replica di Puerto Rico (chi ha detto Vanuatu?).
Morale della favola: se per caso vi imbattete in un gioco molto simile a uno dei vostri, prima di concludere che si tratta di un plagio leggete attentamente il regolamento e magari giocate una partita. Se si tratta palesemente di una copia, potrete regolarvi di conseguenza, ma se invece l’esperienza di gioco dovesse essere diversa, vi sarete risparmiati un’inutile arrabbiatura (e magari anche una brutta figura).