Runebound – Tre edizioni e non sentirle
di Daniele “ditadinchiostro” Ursini Runebound
Io credo di essere nato dall’unione di Ginevra e Lancillotto. Ne sono quasi certo, non solo perché Ditadinchiostro è un nome chiaramente originario di Camelot, ma perché io non so resistere all’avventura. Non posso che essere il discendente di uno dei cavalieri della Tavola Rotonda; il più incosciente, il più imperfetto, il più dilaniato nell’antinomia delle sue diverse anime. Non può che essere quello il mio posto. Un posto vuoto, perché già mi incammino verso il Drago di cui ho sentito parlare. Il cuore è pronto ad affrontarlo, la mente ribelle invece non smette di guardarsi attorno, di guardarsi indietro.
Mi dicevano di lasciar stare, che la seconda edizione era quasi ingiocabile, che non ne valeva la pena. Nei miei primi passi da giocatore da tavolo, Runebound tornava quotidianamente a occuparmi il monitor; caricavo e ricaricavo la sua recensione nella vana ricerca di un buon motivo per comprarlo. Troppi pareri fortemente negativi, troppa discordanza di opinioni per un giocatore alle prime armi. Desideravo talmente perdermi in un reame fantastico, da temere che una brutta esperienza avrebbe infranto in maniera irreparabile il mio entusiasmo.
Desistetti allora. Non oggi. Non oggi che la mia pelle è protetta da strati di partite indimenticabili. Non oggi che Runebound si riaffaccia in una terza edizione completamente nuova. L’ho acquistato il primo giorno e ha reso felici tutte le mie molteplici personalità. Era felice la mia personalità Lancillotto, perché investivo in una missione in cui nessun altro credeva; era felice la mia anima Ginevra, perché, dopo nove anni di repressione, cedevo finalmente alla passione. Persino la mia anima Artù era felice di aver messo le mani su un tale protagonista del panorama ludico; un gioco che, nel bene o nel male, rimarrà nei libri di storia.
La prima voce nella testa l’ho sentita durante il sacro rito della defustellazione, quando le mie mani hanno potuto coccolare soltanto sei piccole miniature. “Che ti aspettavi?” “No va bene, certo sono solo sei, ma probabilmente risulteranno sufficienti” “Tutti uguali voi Nerd, non vi meritate niente. Dopo che Blood Rage ha alzato l’asticella vi aspettate che quello sia lo standard, ma mica tutti incassano un milione di dollari sulla fiducia!” “No per carità, hai ragione. Non ho ancora letto il regolamento, alla fine avrà tutto senso. La Fantasy Flight non ha mai lesinato sui materiali”.
Poi ho letto il regolamento e giocato a Runebound. Più volte. “Ehi, dove sei adesso? Ti nascondi? Ora non dici più che sono esagerato, che il gioco è come deve essere?” “Cosa strilli? Certo che lo dico, la scatola è piena di segnalini, dadi, carte e inoltre ha le miniature” “Hai sei miniature” “Quale sarebbe stato il numero giusto?” “Non fare giochetti con me. Le sei miniature andrebbero anche bene; certo, per un gioco da quattro avrei creato almeno otto personaggi, ma tanto questo non è un gioco da quattro” “Ora non va bene neanche il numero di giocatori?” “Sulla scatola ci puoi scrivere anche un’equazione differenziale per stabilire il numero di giocatori, ma se poi è un gioco da 2 è un gioco da 2” “Il solito esagerato, l’hai giocato anche in 3” “Posso giocarlo pure in sei se trovo un gruppo che vuole espiare le proprie colpe per un intero fine settimana” “Tu fai parte di questa nuova generazione di giocatori che vuole giocare ma non ne ha il tempo e dà la colpa ai giochi. Per gli amanti dei titoli d’avventura una partita lunga non è un problema” “La lunghezza non è un problema in valore assoluto, lo diventa perché Runebound è ripetitivo nelle azioni da svolgere e con un’interazione tra i giocatori inesistente” “C’è interazione indiretta” “E per gli amanti dei titoli d’avventura neanche l’interazione indiretta sarebbe un problema?” “Ti soffermi solo sui difetti ignorando deliberatamente i pregi” “Non è vero, ne riconosco anche i pregi. Primo tra tutti il combattimento: uno dei più riusciti che abbia provato. Tattico, nuovo e perfettamente in equilibrio tra controllabilità e imprevedibilità. L’aspetto che preferisco sono i token combattimento specifici che aggiungi al tuo personaggio armandolo; rendono la crescita all’interno dell’avventura davvero appagante” “E ti pare poco?” “Non è che sia poco, è che mi fa incazzare di più. Hanno avuto tre edizioni per limare i difetti e proporre un prodotto perfetto; invece ne esce un titolo che non scala, troppo lungo per l’esperienza di gioco e con un sistema di combattimento meraviglioso relegato ai margini della partita” “Bisogna aver coraggio per combattere” “No, bisogna aver culo. Hanno spostato la fortuna dall’esito del combattimento alla possibilità di svolgerlo. Se ti dice bene trovi creature da affrontare e ti diverti, altrimenti passi il tempo a giocare a nascondino con le quest” “Le quest non possono mancare in un gioco del genere. E la loro risoluzione è elegante: non scontata e gestibile allo stesso tempo” “Vero, la trama del gioco in questo senso è ben studiata. Azioni e risorse si incastrano bene tra loro, restituendo la sensazione di una gestione di stampo german. Anche dirottare sul movimento la casualità dei dadi non mi dispiace; è un’idea godibile, pur senza sprizzare genialità” “Ora ragioniamo! Vedi che è un bel gioco?!” “No” “No?” “No. Non vedo un bel gioco, vedo un’occasione persa” “Di nuovo? Non puoi semplicemente accettare che sia fatto così?” “No, non posso, perché bastava davvero poco per farne un gran titolo. E poi si poteva evitare che la scatola emanasse quell’odore di truffa” “Che paroloni! Ora che c’entra la truffa?” “C’entra perché con sessanta euro…” “Ma tu non eri quello che non parlava dei prezzi? Quello che il valore di un gioco è indipendente dal prezzo, quello che il prezzo è deciso dall’editore sulla base di fattori che il giocatore non può conoscere?” “Certo” “Allora sii coerente” “Sono coerente: non relaziono valore e prezzo. Runebound ha un prezzo in linea con il contenuto e la tipologia di gioco, ma assolutamente spropositato rispetto alla rigiocabilità. Anche se questo sembra essere il nuovo trend, io non riesco a passarci sopra” “La rigiocabilità non è più una virtù” “Non per me. Non posso accettare solo due scenari! Ognuno ha un mazzo di 10 carte di cui se ne usano 8 per ogni partita: in quattro partite lo hai esaurito. Due scenari e sei personaggi, ma ti pare sensato?” “Dai, in fondo…” “No, non c’è nessun fondo! Io mi sento truffato. Comprare espansioni dovrebbe essere un desiderio, non il modo per ammortizzare il costo di ogni partita. E poi sai che c’è? Voglio anche essere incoerente: sei miniature? Ma sei la Fantasy Flight, cazzo! Vuoi mettere anche le miniature dei cattivi!?! Voglio dire: io sono Mok l’anziano, vado in giro per Terrinoth con la mia miniatura grondante muscoli, finché non compare un Drago malvagio che terrorizza tutto il Reame e questo drago è un token? Se non bastano sessanta euro per avere due miniature in più allora facciamo che pago un bollettino e me le mandate a casa!?” “Stai esagerando perché il gioco non ti è piaciuto” “Non è vero che il gioco non mi sia piaciuto. È che odio più le occasione perse dei fallimenti. Quando ho giocato a The Witcher non mi sono arrabbiato, si è rivelato un gioco osceno, un’indegna marchetta del suo bravo autore, ma è finita lì” “Fai lo stesso ora, tienilo sullo scaffale per una partita ogni tanto ed evita l’astio” “No, non ci sto! Se produci una terza edizione e hai l’intuizione di implementare un combattimento di questo livello, allora non puoi perderti in eccessiva lunghezza, scarsa interazione e inesistente longevità, altrimenti ne esce un gioco schizofrenico” “Eh già, il gioco” “Cosa?” “Dicevi del gioco, il gioco è schizofrenico, giusto?” “Sì” “Ma certo”.
Madre, Padre, il Drago è sconfitto. Si è sconfitto da solo a dire il vero, una scena tragicomica. Io non ho riso. Ero partito per un’avventura e non l’ho trovata, non avevo voglia di ridere. Ho ceduto alla lussuria sperando di ripercorrere i vostri passi; ho capito invece che arrendersi ai piaceri carnali conferisce un’immortalità maggiore che arrendersi a delle illustrazioni. Eppure alla fine siamo giunti allo stesso punto. Lancillotto, Ginevra e Ditadinchiostro verranno ricordati dalle leggende come gli artefici della distruzione di un Regno. Voi Camelot, io Terrinoth.