Photofinish, designer diary
di Walter “Plautus” Nuccio
Nonostante preferisca i giochi di gestione o ragionamento, mi piace spesso rilassarmi con qualche filler. Tuttavia c’è una cosa che non sopporto riguardo una particolare categoria di giochi, quelli di velocità in tempo reale: è quando ti ritrovi al tavolo con un giocatore velocissimo e imbattibile, e la partita diventa un susseguirsi di momenti frustranti, in cui il primo finisce col giocare praticamente da solo mentre gli altri si limitano a guardare.
Spesso è proprio da osservazioni come queste che può nascere l’idea per un nuovo gioco: c’è un problema ricorrente e si tenta di risolverlo o quantomeno di attenuarlo. L’idea di Photofinish mi venne proprio da questa domanda: è possibile creare un gioco di rapidità in cui tutti i giocatori, non solo il più veloce, possano ottenere una manciata di punti ad ogni turno?
Una soluzione e un’ambientazione
Per risolvere il problema partii da una semplice idea: il “puzzle” proposto dal gioco avrebbe richiesto di fornire più risposte e ogni risposta corretta avrebbe fornito punti. In questo modo il giocatore più veloce avrebbe semplicemente fatto più punti degli altri ma nessuno si sarebbe sentito tagliato fuori. Naturalmente l’idea astratta non era sufficiente, dovevo anche trovare un tema credibile per questo concetto. Questo non fu difficile: mi venne subito in mente una corsa in cui le auto erano in prossimità del traguardo e i giocatori dovevano indovinare il loro ordine di arrivo. Immaginai quindi un percorso semplice, lineare, fatto di quattro corsie, una per ciascuna auto. All’inizio di un turno si rivelava una carta percorso, sulla quale si muovevano le auto in gara; tutti i giocatori osservavano la carta immaginando mentalmente il movimento delle auto e cercando di capire quale sarebbe arrivata al traguardo per prima, quale per seconda e così via. Per vivacizzare il tutto aggiunsi dei modificatori al movimento sottoforma di ostacoli lungo il percorso: bombe che facevano esplodere l’auto, chiodi in grado di rallentarla e macchie d’olio che rendevano il percorso scivoloso. Ogni giocatore aveva un proprio set di macchinine e una plancetta sulla quale disporle per indicarne l’ordine di arrivo. Inizialmente le velocità erano stabilite tramite un lancio di quattro dadi, di colori diversi, ciascuno corrispondente ad un’auto. Dato che occorreva un deterrente che impedisse ai giocatori di dare risposte a caso, decisi che ogni errore sarebbe costato la perdita di un punto, mentre ogni risposta corretta ne avrebbe fatto guadagnare uno.
Test, soddisfazioni e difetti
I primi test furono promettenti, ma mostrarono, come è naturale, anche diversi problemi. Innanzitutto la soluzione dei dadi si rivelò poco ergonomica: era scomodo lanciarli e contemporaneamente rivelare la carta percorso. Inoltre i percorsi erano troppo semplici e poco vari, e gli errori troppo penalizzanti. La prima soluzione che adottai fu quella di eliminare i dadi: rivelando una nuova carta, il dorso della successiva avrebbe mostrato i valori di velocità di ciascuna auto. Poi decisi che non tutti i giocatori bensì solo il più veloce dovesse essere penalizzato: chi diceva “Finish”, ponendo fine alla manche, era obbligato a dare tutte le risposte corrette senza errori, o avrebbe perso un punto; per tutti gli altri, invece, gli errori non avrebbero comportato penalità. Il tocco finale fu ispirato sicuramente dalla mia “pigrizia” che in genere mi spinge a cercare di ottenere il massimo, in termini di dinamiche di gioco, col minimo numero di elementi (la pigrizia nel game design non è sempre un male, anzi…): progettai le carte percorso in modo che potessero essere ruotate; così facendo anche un piccolo numero di carte (erano solo nove inizialmente) era in grado di generare milioni di combinazioni possibili, molte di più di quelle che, ad esempio, sono rappresentate sull’intero mazzo di “Fantascatti”.
Ultimi ritocchi
Mentre perfezionavo il gioco uscì anche il mio libro (La progettazione dei giochi da tavolo, Mursia 2016). L’editore di giochi Planplay mi invitò al Teramo Comics per prendere parte ad una conferenza sul game design. In quell’occasione gli mostrai il gioco, che incontrò subito il suo apprezzamento. Poco tempo dopo l’accordo era concluso, ma non certo il lavoro di sviluppo! Lavorare fianco a fianco con un editore serio e professionale come Planplay è stata una bellissima esperienza. Credo che per un autore sia molto gratificante percepire, dall’altra parte, la stessa volontà di rifinire il gioco nei minimi dettagli, perché non importa quanto funzioni bene un’idea: i margini di miglioramento ci sono sempre e anche se a un certo punto bisogna per forza fermarsi, è bene farlo quando si è certi di aver dato il massimo.
Nel caso di Photofinish sentivo che mancava ancora qualcosa, forse la stessa che mancava ad altri giochi della sua categoria: è quella che io chiamo escalation, cioè la crescita del livello di tensione e di difficoltà che si può avvertire nel corso di una partita. Nella prima versione del gioco, infatti, c’era un unico tipo di carte percorso, e queste si differenziavano soltanto per la disposizione degli ostacoli. Decisi quindi di aggiungere ulteriori terreni: nacquero il deserto e la foresta, popolati con nuovi modificatori al movimento, come il razzo, che faceva sfrecciare l’auto in avanti, o l’albero, che la faceva rimbalzare all’indietro. Anche l’editore ci mise del suo e volle introdurre un quarto tipo di terreno, quello ghiacciato. Inoltre fece numerosi test, alcuni dei quali mostrarono che i giocatori percepivano poco la differenza tra una carta e l’altra. Per questo decidemmo di differenziarle ulteriormente, introducendo anche carte speciali che creassero un effetto sorpresa, ad esempio un percorso fatto di sole bombe. Il percorso base, quello cittadino, fu facilitato, limitandolo a soli tre ostacoli, mentre quello finale, il difficile deserto, fu popolato di ben cinque ostacoli con la possibilità di averne due sulla stessa linea. Ci fu anche un’altra idea, cioè che le auto potessero tamponarsi l’un l’altra, cosa che creava situazioni molto intricate e divertenti ma decidemmo momentaneamente di scartarla (è possibile che veda la luce in una futura espansione).
Il lavoro finale, su grafica e cover, naturalmente spettava all’editore e devo dire che il risultato è davvero soddisfacente dato che riesce a ricreare in pieno le atmosfere da videogioco che avevo in mente durante la progettazione. In definitiva, anche se non amate particolarmente i giochi in tempo reale, vi consiglio di dare a Photofinish una chance: potreste rimanere piacevolmente sorpresi.