Giochi petalosi
di Max ‘Luna’ Rambaldi
Potevo forse esimermi dallo scrivere qualcosa oggi? A quanto pare no, viste le minacce giunte dalla regia. Quindi ho scelto per voi, per festeggiare questa lingua italica che, spesso ahimè, evolve, un m’ama-non-m’ama di giochi più o meno conosciuti, tutti rigorosamente petalosi, e disposti in altrettanto rigoroso ordine casuale. Vi giuro che, se cercate giochi strani, impostare la ricerca su ‘Fiori’ può essere il primo passo per la riuscita.
S’ama.
Visti i fatti recenti, un saluto è doveroso. Tratto dal romanzo di Umberto Eco, e con una strizzata d’occhio al film ad esso ispirato per quanto riguarda la grafica, ecco Il nome della Rosa. Che ok, non è una vera rosa, ma qua giochiamo anche con le parole. Un gioco dalla componentistica molto accurata che ricalca le indagini all’interno del famoso monastero benedettino, scandendo il proprio ritmo in 7 turni, come i giorni della rosa. In questo board game, nemmeno troppo recente, vestiremo l’abito del monaco e non dell’investigatore, cercando sì di scoprire chi impersonino gli altri giocatori, ma muovendo i meeple sul tabellone di gioco, che riproduce gli edifici dell’abbazia, soprattutto cercando di non addossarci troppi sguardi. Perchè un frate arancione nell’edificio blu suona decisamente colpevole.. Interessante che, a prescindere dal numero di giocatori (da 2 a 5), in partita siano presenti comunque tutti i personaggi, per mantenere l’equilibrio tra indizi e sospetti e non rendere le cose troppo facili a Guglielmo ed Adso. Un gioco di bluff, deduzione, e orazione.
Non v’ama.
Quindi non vi sposa. Ma se siete dei rospetti fortunati potete comunque sperare di andare in marito alla Principessa Ninfea e alle sue sorelle, scazzottandovi moralmente col resto dello stagno per diventare viscosissimi principi. Water Lily è un family game dove a suon di saltelli, seguendo semplici regole di spostamento da una ninfea all’altra, si dovrà far raggiungere ai token colorati il traguardo, solo che nel mentre nessuno saprà quale sia il vostro colore! L’ordine di arrivo dei ranocchietti alle varie uscite dello stagno fornirà ad ognuno di essi un punteggio crescente da 1 a 4, dal primo a quarto arrivato, e 0 a quelli successivi. Si presenta quindi come un gioco di mosse tattiche piuttosto veloce, dov’è importante far arrivare presto, ma non troppo, i rospi del proprio colore all’uscita, assistiti dal bluff e qualche colpo di fortuna.
D’ama.
Da soli o in coppia potete sfidarvi a una gara di giardinaggio cercando di costruire con i vostri fiori i pezzi più grandi di giardino: più estesa sarà l’aiuola più salirà il punteggio. Un gioco semplice semplice di piazzamento tessere adatto ai giocatori dai 6 anni in su. Flowerpower ammetto di averlo aggiunto come proposta floreale perchè lo trovo di un pacchiano unico, un po’ per il titolo, un po’ per i due fiori che si guardano ammiccando in copertina, e un po’ per gli occhi che temo possano commettere suicidio dopo 10 minuti passati a guardare il tabellone. La durata media di mezzora a partita comunque è bassa a sufficienza da indurmi a volerlo provare, perchè una grafica così kitsch non può passare inosservata. Inoltre l’idea di veder scappare dal tavolo il nauta sfortunato che dovrà provarlo con me è decisamente allettante.
Non ami.
Keyflower, per restare in tema di parole, è un titolo che fa il verso alla celebre Mayflower, ma è un gioco astratto che di conseguenza non ha nulla a che vedere con navi, ami, pesca o padri pellegrini. Fa parte di una raccolta di giochi dal nome comune, Key[qualcosa], dettaglio che adoro, ma che a solo leggerne il regolamento mi ha dato il mal di testa. Nonostante questo è un board game decisamente apprezzato, che scala bene a prescindere dal numero di giocatori e che mescola in modo intelligente le meccaniche dell’asta, del piazzamento lavoratori e del piazzamento tessere. La grafica è decisamente ben realizzata e tutto sommato è un gioco che proverei volentieri, ma solo se a spiegarlo fosse qualcuno che già lo conosce, considerando alcune difficoltà di lettura relative proprio alle istruzioni per l’uso. Ragion per cui se siete interessati v’invito a leggere la più che completa recensione di quel masochista di Canopus.
L’amo.
Queste deliziose tessere sono in realtà carte giapponesi dall’origine antica, molto spesse e dalle dimensioni contenute, chiamate Hanafuda. Non rappresentano un vero e proprio gioco ma sono più o meno l’equivalente delle nostre carte da poker o briscola (hanno infatti probabili origini comuni): sono provviste di immagini che rappresentano semi e valori, e se non fosse che i semi sono 12, che sono estremamente pittoriche, e che nonostante la diversità noi dell’Ovest fatichiamo a distinguerle come i volti dei loro inventori, potremmo tranquillamente giocarci anche noi. Ma pur non capendole possiamo contemplarle. E a Max piacciono moltissimo, con quel fascino antico e orientale che si portano appresso.
Le ho viste per la prima volta in una serie tv giapponese, Nihonjin no shiranai nihongo (Il Giapponese che i giapponesi non conoscono), che insegna ai giapponesi curiosità, grammatica e termini particolari del Giapponese. Vorrei facessero una serie simile sull’Italiano, perchè amo, amo moltissimo la nostra lingua. Nonostante le storpiature, nonostante i congiuntivi, i verbi che ogni tanto impazziscono e non si sa come diamine si debbano coniugare, nonostante superlativi assoluti come saluberrimo. Ma è una lingua viva, non la si può ibernare, si può solo osservarla crescere e adattarsi alle nuove regole del gioco. Cosa che Maledice apprezza in particolar modo perchè se sbaglia qualche parola può sempre avvalersi della scusa di parlare l’Italiano del futuro.
Se avete problemi, con regolamenti o Italiano, state tranquilli che ve li impara lui!