Colpo di Test: Virus T
di Arianna “Arianna”
Sproloquio Prologo
“Ah ma state playtestando giochi? Sì, certo che puoi scriverci su qualcosa, dài che è figo”.
Sarà un po’ il fascino del concetto, sarà il nome (“prototipo”, fa tanto Archimede Pitagorico nei fumetti di Zio Paperone), sarà la curiosità da scimmia che mi ritrovo, fatto sta che, fin dal primo impatto sui tavoli di qualche fiera, trovarmi per le mani l’embrione – magari sottilino e maltagliato – di quel che (si spera) diventerà un giorno un gioco, mi ha sempre dato quel brivido in più.
Archimede Pitagorico, esperto di Prototipi
Di recente, al pre-Capodanno di Gioconauta, mi è passata per le mani la versione pubblicata di un simpatico gioiellino – Insoliti sospetti – che avevo già avuto modo di provare al Modena Play, ancora in versione amorevolmente stampata alla circa meno quasi, con tanto di scatola artistica e nome provvisorio. Se la memoria non mi inganna, i miei trascorsi con quel gioco si limitavano a un vago “mi è parso bellino” infilato di straforo nei reportage di Modena dell’anno scorso, eppure a ritrovarmelo lì sul tavolo, la sensazione è stata simile a quella di ritrovare un cuginetto improvvisamente senza pannolino e con una bella tartaruga di addominali e il piercing al sopracciglio. Orgoglio di zia, insomma.
Immaginerete quindi la mia scimmia… voglio dire, la mia entusiastica reazione alla prospettiva di essere coinvolta, a causa di vicende che nel frattempo mi stanno anche sconvolgendo la vita in modi più assortiti di una busta di cioccolatini post-epifania, nel processo di playtesting di vari giochi che mirano a vedere la luce nei mesi a venire.
Soprattutto quando, nella mia innocenza di eterna neofita, ho cominciato a rendermi conto che, a monte di quel prodotto fragilino e maltagliato che si può incontrare a una fiera o tramite amici di amici, c’è tutto un altro mondo, fatto di prove ed errori, ripetizioni, bilanciamenti, taconi e sbreghi, un po’ di furbizia e tanta pazienza.
Con il sopraccigliare assenso dei nauti, quello che mi piacerebbe fare in questi(?) articoli(?) è aprire qualche spiraglio su questa mia avventura “dietro le quinte” (potrei anche dire “prima della prima”, ma farebbe troppo Ghezzi alle due di notte).
Finito di blaterare, passo quindi al primo soggetto di questo esperimento: Virus T, di Michele Quondam.
Il gioco
Scena:
Un tavolo.
Tre giocatori che hanno tutta l’aria di aver lavorato su questo prototipo per ere zoologiche (vero o no che fosse, questa era l’impressione quella prima sera).
Una caterva di mostri di vari colori.
Miniature di saracinesche, porte e muri sfondati.
Cubetti. Tanti cubetti.
L’Arianna. Che vede i cubetti, e prevedibilmente sbianca un po’ e dice: “Ommioddio un tedesco”.
Tre set di sopracciglia si alzano, poi parte la spiegazione del gioco*:
(*Nota: le parti in corsivo sono quello che mi ricordo/immagino di aver sentito/ parafraso in maniera fantasiosa. Non è da intendersi come discorso diretto, soprattutto perché ho la memoria di un pesce rosso).
Siamo in un laboratorio supersegreto in cui è stato creato un mostruoso virus, chiamato Virus T, che ha scatenato un’apocalisse zombie – no, non sono zombie, sono mostri.
I giocatori incarnano gli eroi che devono esplorare questo laboratorio infestato di persone trasformate dal virus in mostri…
“Ah ma quindi è un dungeon crawl?!”
Sta buona un attimo, aspetta che ti spiego…
“Ok, ascolto.”
Gli eroi devono esplorare il laboratorio per recuperare l’antidoto al Virus T e liberare l’umanità dalla minaccia di un’estinzione globale. All’inizio del gioco gli eroi si trovano fuori dal laboratorio, ma appena entrano la porta gli si chiude alle spalle, e l’unico modo di riaprirla è che tre di loro si trovino in due stanze specifiche allo stesso tempo, per attivare il meccanismo di sblocco – (l’indice dello spiegatore indica due tasselli bianchi sparsi in mezzo al tavolo). Per esplorare le stanze, si fa così: ogni giocatore ha otto possibili stanze di quattro colori nel suo “display” personale, e per esplorarle le deve mettere giù collegandole a quella in cui si trova. In pratica, la mappa viene generata man mano che i giocatori mettono giù i loro tasselli. Per farlo si spendono punti azione – (ecco i cubetti che avevano tanto spaventato l’Arianna), quindi bisogna stare attenti a conservarne abbastanza per fare altre cose, come fuggire, costruire barriere, sfondare muri e combattere.
“Combattere? Coi cubi?”
I cubi si tirano. Ogni giocatore ha la sua plancia, su cui oltre ad uno spazio per accumulare i vari potenziamenti del personaggio che può comprare nel corso del gioco, si trova una griglia di quadratini colorati su cui tirare i propri cubetti. Ogni volta che un cubetto cade (da solo) su un quadratino colorato, il tiro è positivo. Se cade sullo spazio o se sul quadratino ne finiscono due, il tiro è negativo. I cubetti di un colore sono i punti azione, quelli dell’altro sono i proiettili, si moltiplicano i proiettili positivi per i punti azione positivi e si calcolano i successi.
“Ma è complicato.”
Prova, prima…
*roll…*
“Ok, non è complicato.”
Ogni turno, si pescano nuove stanze e si recuperano punti azione. Pochi, quindi occhio. Per trovare l’antidoto, bisogna raccogliere indizi. Gli indizi si raccolgono costruendo le stanze speciali del laboratorio, composte di quattro apposite carte. Gli indizi danno informazioni parziali, tipo “l’antidoto è in una stanza con tre porte”, oppure “in una serie di tre stanze blu”. Una volta che ne hai raccolti abbastanza da definire una stanza univoca, ci piazzi l’antidoto e puoi andare a prenderlo per vincere. Sempre che tu riesca a uscire vivo e non infetto (perché ogni volta che prendi mazzate, c’è una possibilità che ti prenda pure il Virus T, e fino alla fine del gioco non saprai se sei infetto o meno. Se no che horror epidemiologico sarebbe?)
Nel frattempo, però, più vai in giro a esplorare e fare cose, più mostri appaiono, ti vedono, ti sentono e ti seguono. Il lato positivo, invece, è che più stanze esplori, e in particolare più stanze adiacenti dello stesso colore riesci a piazzare, più risorse ottieni da spendere ogni turno per comprare potenziamenti e costruire barriere, porte, piazzare trappole e sfondare muri (anche qui, con semplici moltiplicazioni).
“In pratica è un dungeon crawl tedesco….”
Esatto.
“Beh, dai, abbastanza semplice…”
In tempo reale.
“Ah”.
In pratica, i turni di gioco si svolgono secondo in due fasi. Esplorazione e combattimento, all’interno di un turno, avvengono in contemporanea per tutti i giocatori, in tempo reale, con un timer. Il calcolo delle risorse ottenute, l’acquisto di proiettili, oggetti come porte, barriere e potenziamenti del personaggio, e movimenti dei mostri, invece, avvengono nella seconda fase a timer spento – per cui c’è anche il tempo di pianificare il turno successivo.
Il numero di turni in cui fare tutto questo è determinato dall’inizio, e indicato da una fila di cubetti che indicano anche cosa faranno i mostri di volta in volta. Tutto chiaro?
“Chiaro”.
Ok, giochiamo.
La prima partita la facciamo nella modalità più facile, e infatti ne usciamo vivi e relativamente interi.
Certo, è un modo un po’ diverso di giocare – quando nel bel mezzo di un turno chiunque può dire “io però farei costare di meno il potenziamento all’armatura” oppure “sì ma nerfate l’adrenalina che è troppo op” (questa ero io. Mi ero fissata con il potenziamento “iniezione di adrenalina”) – e vedere il modo in cui il gioco ti cambia intorno seguendo queste ipotesi di modifica. Sarà il cuore di zia di cui sopra, saranno i vent’anni di fissa coi sogni lucidi, sarà un rapporto irrisolto col primo Matrix, ma cambiare le regole in corso d’opera ha sempre un fascino particolare.
Degno di nota anche il finale della serata – Allora, Arianna, che ne pensi?
“Beh, mi pare bello… di chi è?”
Mio.
“Ah.” Pensa la figura di palta se non mi fosse piaciuto…
A me personalmente, l’alternanza tra tempo reale e pianificazione ha ricordato vagamente un’atmosfera da gioco di ruolo, nonostante in quel caso l’effetto “tempo reale” fosse spesso più una questione di momenti di crudeltà dei master che non di regolamento.
Nelle partite successive ho visto questa impressione confermata, soprattutto quando alla modalità cooperativa si affianca quella “con l’infiltrato”, in cui un giocatore (ovviamente in incognito) cerca di sabotare la partita degli altri, tentando di vincere da solo favorendo i mostri. A me che sono una mente semplice, questa modalità mette abbastanza in crisi il neurone – anche perché con il timer che scorre, è difficile capire se qualcuno prende delle gran cantonate apposta, o semplicemente perché è imbranato. Oltre a questa modifica, nelle giornate di test successive se ne sono aggiunte altre, tra cui la possibilità di lanciare i potenziamenti insieme ai cubetti per influenzare i tiri di combattimento e ottenere effetti speciali. Al momento, la direzione di sviluppo più probabile è quella di avere diverse modalità di gioco, più o meno cooperative, di difficoltà (e complessità di regole) crescente man mano che cresce l’elemento competitivo. Se nel frattempo vi si è risvegliata la curiosità, il mio consiglio è di andare alla pagina della campagna Giochistarter di Virus T, dove potrete e anche voi volete seguire man mano lo sviluppo del gioco.
Nel tempo trascorso tra quella prima partita e il momento in cui scrivo, Virus T è nel frattempo passato alla fase successiva, e sta venendo provato da altri giocatori che non hanno assistito al processo di sviluppo. Io stessa ne ho visto solo un’ultima, piccolissima parte, ma nelle prossime settimane e mesi dovrei avere occasione di incontrare altri giochi in diverse fasi del loro percorso, e chissà, magari anche aiutarli un pochettino a “venir su bene”.
Cuore di zia, appunto.