Babele Spiel ‘14 CAP. I – Il buio oltre le idee
di Daniele “ditadinchiostro” Ursini
Dove le lingue s’impastano, si contaminano senza toccarsi e ciò che ne esce sono frasi stentate, medesimi vocaboli in un diverso ordine. E ammiccamenti, sorrisi, cenni d’assenso. Poi la folla. La folla ti sposta, ti trascina, ti contagia d’entusiasmo alcolico e sei perso. Ormai sei perso, il vortice di goliardia cambia le regole e annulla i pensieri. Allora ti muovi nella fiera di Babele e da quel momento nulla più ti sorprende, guardi tutto e tutto ricambia. Hai bisogno di cercare qualcosa da cercare e ti ci imbatti per caso. E’ un ritrovamento raro, la scoperta più inaspettata, preziosa. E’ un’idea. E quasi ti commuovi perché era tanto che non ne vedevi una. La trovi nascosta nel padiglione meno importante, su un tavolo che gronda sangue. The Possession non ruba l’occhio, la Gen X non può permettersi di spiccare nella fiera di Babele, eppure è il secondo anno consecutivo che ha un’idea: saccheggiare importanti film e renderli un’esperienza di gioco nuova. E così, nel remake de ‘La casa’, vaghiamo in un’abitazione infestata dal Male cercando di ricostruire e sacrificare il Necronomicon. Il Male si muove con noi, cerca punti deboli per entrare nei nostri corpi, per possederci. E’ all’inizio di ogni turno che questo accade, un tiro di dado determina se saremo posseduti oppure no e meno punti vita abbiamo, più sarà facile per il Male entrare ed uscire dal nostro corpo a suo piacimento. Ed ora che sono posseduto il mio compito sarà rimanere l’unico sopravvissuto. Ora che torno in me m’impegnerò a bruciare il Necronomicon. Sfuggire al Male significa sfuggire a tutte le membra che esso possiede. Ai corpi, alle braccia, alle gambe e alle teste che possono muoversi autonomamente attaccando gli spaventati avventori della casa. E intorno al tavolo insanguinato un coro di voci senza volto chiede come sia il gioco, come sia nonostante i brutti materiali. Ma non è questo il punto, non è questo. Il punto è che hai trovato un’idea e nella fiera di Babele non è scontato che ciò accada. E continui a cercare perché ormai non ti basta più e l’idea successiva si cela dove non avresti mai pensato, dietro ai colori e ai lustrini del commercialissimo Grog Island. Ciò che sembrava l’ennesima esca per famigliole felici rivela invece una meccanica nuova e bella. E ti commuovi guardando negli occhi la volpe della Eggertspiele, pensi che in questo mondo c’è qualcosa di giusto se un gioco per tutti risulta interessante davvero per tutti. Profondo persino. Pianificare l’asta su dadi che indicano contemporaneamente costo, numero di azioni e risorse lasciate agli avversari è un esercizio che richiede un sottile bilanciamento di scelte. Scelte. Scelte, finalmente scelte in un titolo per famiglie. E non importa che l’altra metà del gioco sia una classica rincorsa agli obiettivi né che l’ambientazione si adatti alle meccaniche come delle scarpe a un pesce. L’unica, davvero l’unica cosa importante è che Grog Island contenga una vera idea e che questa dia vita a un gioco nel complesso bello, il quale, per un anno, potrebbe addirittura rendere lo ‘Spiele des jahres’ un premio meritato. Ti alzi ebbro di speranza nel futuro, scivoli fra corpi ammassati fino a imbatterti nella metà sinistra di Martin Wallace. Cerchi di parlarci senza far caso agli organi interni tranciati, ti concentri sull’unico occhio, l’unico braccio, l’unica gamba. E non hai bisogno di chiedere perché, né dove, ti siedi al tavolo di Onward to Venus e capisci. Capisci che Wallace non potendo sdoppiarsi si è diviso. La sua parte sinistra ha sfornato idee calate nell’ambientazione, meccaniche originali e spunti divertenti, nel frattempo quella destra lavorava per far diventare Mythotopia un ingranaggio perfetto di algida profondità. E mentre la parte destra intrattiene i suoi ospiti senza suscitare entusiasmo, la sinistra ti insegna a far decollare il tuo razzo verso i pianeti del sistema solare controllando che nessuno di essi entri in crisi, perché da ognuno può arrivare un pericolo diverso contro le tue truppe o contro la terra. E’ alla fine delle spiegazioni che ti accorgi che qualcosa non va. Che qualcosa manca. Che non hai già più niente da fare, laddove gli annoiati compagni della parte destra hanno invece ancora molto su cui pensare. E ti dici che è giusto, che da mezzo corpo poteva uscire solo mezza idea. E ti chiedi se si potrà riattaccare, se il puzzle di Wallace si potrà ricomporre per sperare in un titolo completo l’anno venturo. Intanto sei di nuovo in giro, di nuovo in cerca di idee, anche se sembra impossibile avere ancora fortuna, trovare un’altra goccia di rugiada sotto il temporale. E quando ti fermi convinto che non si possa più fare, hai di fronte Pints of Blood e un’idea da giocare. E’ di nuovo il cinema a fornire lo spunto vincente, entri nel pub de ‘L’alba dei morti dementi’ e subito li vedi gli zombie. Sono alle finestre, alle porte, sono ovunque fuori dal quel pub. Non hai nient’altro che una mazza, delle freccette, qualche pinta, dei pacchetti di patatine e quel pub. Ci tieni a quel pub, sei felice sia quello l’ultimo baluardo di umanità in un mondo invaso dagli zombie. E il sistema a scorrimento con cui entrano è geniale, li vedi arrivare, puoi prepararti, puoi fare un piano eppure non c’è niente di sicuro. E la gestione di tutti gli eroi nel turno di ogni giocatore è la ceralacca sul certificato di originalità che non ti saresti aspettato di dover consegnare alla HUCH!. Torni a respirare soddisfatto dopo aver ucciso più zombie degli altri ma è solo un attimo prima che intorno a te il solito coro di voci senza volto cominci la propria nenia. Ti chiede se è bello, ti chiede se va comprato, se è bello, se va comprato, se è bello, se va comprato. E’ quando non resisti più che scatti in piedi e Babele prende il sopravvento. Urli che il gioco è piacevole, niente di più, che ha troppo downtime, che è ripetitivo e scala male. E quando hai finito ti rendi conto di cosa hai detto. Avevi promesso a te stesso di usare parole semplici, di dar valore alle idee. La fiera di Babele confonde le menti, la lingua, mette tutti sullo stesso piano, un piano di parole incomprensibili, apparenza e gusti condizionati. La schiera di voci lugubri si allontana in silenzio scoprendo ai tuoi occhi un abisso buio che non avevi notato. Circonda completamente la fiera di Babele e, dalle profondità di questo crepaccio, lingue di fuoco appaiono di tanto in tanto aizzate da nuovo materiale. “E’ l’inferno dei giochi da tavolo” sentenzia una voce alle tue spalle.
TO BE CONTINUED…
Ottimo report con il grande stile che dita ormai ci ha quasi abituato a leggere (quasi perché quando si scrive bene non si smette mai di stupire i lettori….).
Bravo Dita, e sono contento di essere stato con te due volte sulle tre che descrivi!
Grazie Pennuto, è sempre un privilegio provare i giochi con te a Essen e confrontarsi sui commenti finali :)
Molto stile davvero. Complimenti.
Andrea
Grazie mille dei complimenti Andrea, ancora più apprezzati in quanto provenienti da un collega redattore :)
Figo!